La domanda è: è obbligatorio per il datore di lavoro, che contesta ad un proprio dipendente, a norma dell’art. 7 dello Statuto, di aver molestato delle colleghe di lavoro, di indicare nella contestazione (che sappiamo deve essere specifica e circostanziata) i nominativi delle colleghe oggetto di molestie o di altri comportamenti illeciti e inappropriati?  La Corte d’appello di Milano aveva dato torto al datore di lavoro per non aver indicato nella contestazione i nominativi delle persone molestate, sancendo che ciò inficiava la contestazione disciplinare, ritenuta non sufficientemente circostanziata proprio per l’assenza di tale elemento, così pregiudicando il diritto di difesa dell’incolpato.

La Cassazione non è dello stesso parere, e cassando la sentenza della Corte d’Appello, sostiene che i giudici avrebbero dovuto verificare “al di fuori di schemi rigidi e prestabiliti”, se in concreto, malgrado la mancata indicazione dei nomi, la descrizione in dettaglio delle condotte, consentisse comunque la difesa e non generasse alcuna incertezza circa l’individuazione dei comportamenti imputati.    

La Corte in pratica evita di assumere una posizione netta (indicazione sempre e comunque dei nomi), ma propende piuttosto per una soluzione “caso per caso”, volta cioè a valutare come la mancata indicazione dei nomi si rifletta in concreto sul diritto di difesa. In pratica, se questo diritto non risulta compromesso i nomi si possono omettere. Tanta cautela ben si spiega alla luce del fatto che il coinvolgimento, nero su bianco, delle persone molestate nei procedimenti disciplinari, può dar luogo a serie criticità. Si intuisce come vada prestata la massima attenzione al difficile equilibrio fra diritto di difesa e diritto al rispetto della privacy, entrambi fortemente tutelati dal nostro ordinamento.

Corte di Cassazione – n. 6889 del 20 marzo 2018