Prendiamo spunto da alcune recenti e sempre più numerose sentenze della Cassazione, da ultimo la n. 18411 del 9 luglio 2019, la n. 21529 del 20 agosto 2019 e ancora la n. 26956 del 22 ottobre 2019, per intervenire sulla delicata materia del corretto utilizzo da parte dei lavoratori dipendenti dei permessi per l’assistenza al familiare disabile, meglio conosciuti come permessi Legge 104.
Nella prima sentenza, la Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore per abuso nell’utilizzo dei permessi: il datore di lavoro, infatti, attraverso le prove raccolte dall’agenzia investigativa da lui incaricata, è riuscito a dimostrare che il proprio dipendente in alcune giornate non si era recato dalla zia disabile, contrariamente a quanto dichiarato dal lavoratore stesso in merito alla “regolare assistenza” prestata.
Nella seconda sentenza, invece, la Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore, accusato dal datore di lavoro di occuparsi dell’assistenza alla moglie disabile in fasce orarie (serali e notturne) diverse da quelle per le quali ha chiesto i permessi. Grazie alle testimonianze e alle prove documentali raccolte, la Corte ha ritenuto corretto il comportamento del lavoratore e non improprio l’uso dei permessi.
Nella terza sentenza, la Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore che aveva fruito di alcuni dei permessi, anziché per assistere il padre disabile, per seguire urgenti lavori di casa a seguito di una improvvisa infiltrazione d’acqua; nel caso di specie, la Corte ha ritenuto il licenziamento disciplinare non proporzionato alla gravità degli addebiti.
Le tre sentenze, in sostanza, ci ricordano che il corretto utilizzo dei permessi Legge 104 non si riduce ad una mera corrispondenza tra le ore spettanti e quelle richieste, ma deve concretizzarsi in una condotta del lavoratore dalla quale emerga, senza alcun dubbio, che l’utilizzo dei permessi non è finalizzato ad attività diverse dall’assistenza al familiare disabile.
Ciò che rileva a questi fini, quindi, è che il comportamento del lavoratore sia ispirato a principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo, tenuto conto delle finalità sociali per le quali il beneficio è concesso.